Welfare aziendale: come stanno andando i Flexible Benefit?
I piani di Flexible Benefit sono una soluzione innovativa sempre più utilizzata dalle aziende come strumento di incentivazione del personale: sono beni e servizi messi a disposizione dei dipendenti per motivarli positivamente, coinvolgerli e valorizzarli ed attrarre nuovi talenti.
Recentemente, la società Valore Welfare ha condotto un’analisi tra i suoi principali clienti, con l’obiettivo di analizzare il trend e fornire alcune indicazioni sui Piani di Flexible Benefit (PFB) realizzati nell’ultimo anno.
Come si legge nella nota diramata dalla società, c’è una differenza sostanziale tra i Piani di Flexible Benefit e i Piani di Welfare Aziendale (PWA): i PFB “sono sostanzialmente meccanismi di remunerazione delle performance raggiunte ovvero – come nel caso di Premi di Risultato detassati (PdR) – sostitutivi della remunerazione monetaria, mentre i PWA coniugano politiche di Responsabilità Sociale d’Impresa – attraverso servizi in grado di innalzare il benessere e la sicurezza sociale del lavoratore e della sua famiglia – con iniziative e meccanismi d’incentivazione dei dipendenti verso il raggiungimento di più elevate e durature performance, facendo leva sulla motivazione, sul commitment e sulla loro identificazione con gli obiettivi ed i valori dell’azienda (con positivi effetti anche sulla brand reputation)”.
Nell’analisi sono state considerate anche le modalità di gestione da parte delle aziende (in house o tramite outsourcing con provider specializzati); sono state coinvolte aziende manifatturiere, del terziario, e pubbliche amministrazioni.
Dallo studio è emerso che i Flexible Benefit sono diffusi soprattutto nelle imprese manifatturiere (70% del campione), seguite (26%) dalle realtà del terziario (in particolare banche). Il restante 4% si riferisce a P.A. (Autority ed Enti Pubblici non economici), a dimostrazione del possibile sviluppo del welfare aziendale anche nel pubblico impiego.
Per quanto riguarda la fonte istitutiva, nella maggior parte dei casi (oltre il 50%) prevale l’unilateralità anche se la sottoscrizione di contratti integrativi è sempre più frequente: nel 70% dei casi, sono stati depositati al fine di poter fruire della defiscalizzazione prevista per i Premi di Risultato (PdR), modalità che consente la welfarizzazione degli importi premiali dovuti ai dipendenti, a fronte del conseguimento di prefissati incrementi di produttività.
I Piani di Flexible Benefit sono diffusi anche nelle PMI. Il 43% delle aziende analizzate hanno infatti un massimo di 500 dipendenti. Tra i beneficiari, c’è una netta prevalenza di over 35 (il 60% circa), ma in molte realtà dominano gli over 50. Il valore medio annuo del “welfare wallet” (ossia l’entità economica del budget di cui può disporre il singolo beneficiario) è di circa 650 euro, poi ripartito dai lavoratori in due o tre macro-aree di servizi. Tra le priorità indicate come più rilevanti dai dipendenti ci sono l’assistenza sanitaria integrativa e la previdenza complementare, ma in concreto le scelte operate nell’ambito dei PFB sono diverse e più vicine a misure di sostegno al reddito.
Nel 36% dei casi, i lavoratori scelgono il rimborso spese per l’acquisto libri di testo, pagamento delle rette di asili e scuole e più in generale di servizi scolastici (e l’incidenza di tali scelte sale al 47% dei dipendenti nella fascia fra 40-50 anni). Seguono cultura, sport, viaggi (34% tra i dipendenti under 35) e Buoni Acquisto (11%). La destinazione del welfare wallet all’assistenza sanitaria integrativa e alla previdenza complementare sembra essere marginale. Un dato significativo riguarda la percentuale del welfare wallet residuo: alla fine del periodo di validità dei PFB è circa il 20% del wallet medio a disposizione.
Dall’analisi è emerso che senza un adeguato piano di comunicazione e d’indirizzo, il lavoratore si trova in difficoltà sia a scegliere sia nel destinare integralmente il suo welfare wallet nei tempi programmati e definiti dal PFB; inoltre, con una fruizione “a richiesta”, in cui ogni lavoratore può scegliere i beni o servizi che preferisce, la scelta cade di solito su servizi immediatamente fruibili, mentre vengono trascurate le iniziative di tutela sociale ed economica di lungo periodo (welfare life cycle).
Le grandi imprese per gestione dei PFB tendono a scegliere l’outsourcing, affidandosi ad un provider che, servendosi di un’apposita piattaforma web, riesce ad assicurare la completa gestione delle transazioni ed il controllo di regolarità nella fruizione dei servizi (Health Italia, ad esempio, eroga il servizio tramite la piattaforma Benefit Online).
Le PMI gestiscono il più delle volte l’operatività in house, ma il 75% delle aziende coinvolte nel survey sta considerando l’esternalizzazione.
In alcuni casi, soprattutto nelle grandi aziende, è presente la figura di un Welfare Manager; le PMI si avvalgono nell’80% dei casi di una consulenza specialistica esterna.
Non è ancora molto diffusa e soprattutto non scientificamente organizzata l’attività di monitoraggio dei risultati e di fine tuning sia dei PWA che dei PFB sulla base dell’andamento di specifici KPI (viene attivata solo nel 35% dei casi, soprattutto da grandi imprese e con l’ausilio di consulenza specializzata).
Sta invece aumentando la richiesta di servizi di scouting (anche da parte delle grandi imprese) per la selezione dei provider dei servizi di supporto al Welfare Aziendale (SSWA). Questa attività consulenziale è ritenuta utile dal 75% delle imprese intervistate: si tratta di un mercato “nuovo”, per cui anche le aziende dotate di apposite strutture di procurement possono avere bisogno di assistenza per acquisire le giuste competenze. L’offerta di questi servizi è incentrata per lo più sulla disponibilità di portali web, ma questo strumento operativo e gestionale non è più l’unico: la voucherizzazione dei servizi resa ora possibile dall’Art. 51, c. 3-bis è sempre più diffusa. Si tratta anche in questo caso di una novità, e l’offerta di servizi di scouting risulta interessante per quasi tutte le aziende intervistate.